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Perché Jiejie 姐姐 di Zhang Chu è ancora una canzone attualissima


Sono passati circa trentacinque anni dalla prima volta che Zhang Chu cantò uno dei brani più famosi della sua carriera e, con buona probabilità, della musica rock cinese. A metà tra realtà e leggenda, il racconto vuole che allo Shaanxi Institute of Mechanical Engineering si fosse innamorato di una ragazza più giovane che lo rifiutò confessando di vedere il giovane cantante solamente come un fratello: Jiejie 姐姐 (Dear sister), nella visione più semplice ed edulcorata, sarebbe nata così, da un rifiuto in amore. La storia di Zhang Chu tuttavia, ci dice altro. Nato nel 1968 a Liuyang (Hunan) vive la sua infanzia con la nonna prima di trasferirsi a 8 anni nello Shaanxi con in genitori. A 10 anni scappa per la prima volta di casa e, di lì a poco, inizia la sua vita solitaria e peregrina: prima a Xi’An per gli studi poi a Pechino. Pochi soldi in tasca, una chitarra in spalla e una forte ispirazione. Sullo sfondo gli anni a cavallo tra anni Ottanta e Novanta (e della tragedia di Tian’an Men), periodo musicalmente irripetibile per la Cina in cui le etichette indipendenti provavano a mettere ordine tra il mare magnum di quella ispiratissima generazione di musicisti. E’ in questi anni che Zhang Chu compone la maggior parte dei suoi brani che andranno poi a confluire nel suo primo album A Heart Cannot Fawn 一颗 不肯 媚俗 的 心 (1993). Dear sister 姐姐 invece, come un diamante pazzo, resta fuori da qualsiasi album, eccezion fatta per la compilation dell’omonima etichetta discografica 中国火 (1992).


Ma dunque cosa (o chi) rappresenta quella sorella cercata, urlata, quasi rincorsa da Zhang Chu? Varie interpretazioni convergono su alcuni temi salienti. Composto in uno dei momenti più intensi delle "riforme e apertura" (il complesso sistema di riforme voluto da Deng Xiaoping), il brano si fa voce di un intenso scontro generazionale: da un lato i giovani come Zhang Chu, proiettati verso un sistema nuovo che sembrava finalmente alla portata di tutti e dall'altro le aspettative della vecchia cultura, spesso imposte in maniera aggressiva e orientate dalla pietà filiale. Ecco comparire quindi il padre alcolizzato e violento (我的爹他总在喝酒是个混球 "mio padre è un coglione quando beve") pronto a bloccare, nei suoi figli, la creazione di un'identità propria e non omologata. Una ribellione che si sostanzia anche nell'insofferenza per i ruoli prestabiliti: Jiejie 姐姐 presenta una famiglia composta da un padre tiranno, una sorella sofferente, un giovane fratello verosimilmente debole e confuso e una madre mai menzionata. Una gerarchia del tutto patriarcale difficile da scalfire in lotta continua con la ricerca di umanità e di riscoperta dell'individuo proposta da Zhang Chu (牵着我的手 你不用害怕 "tienimi la mano, non aver paura"). Più di "Pretty girl" di He Yong e "Nothing to my name" di Cui Jian, Dear sister riesce nell'impresa pionieristica di interrogarsi su temi legati all'identità, al genere e alla pressione culturale dialogando direttamente con l'altro sesso. Sebbene lo stesso Zhang Chu abbia spesso, seppur indirettamente, rifiutato molte di queste interpretazioni e abbia rifiutato di cantarla per molti anni, l'attualità di Dear sister è un dato inconfutabile. Talmente tanto che è stata scelta come colonna sonora di un film praticamente omonimo (我的姐姐 My Sister) uscito nelle sale cinesi lo scorso aprile.






Diretto da Yin Ruoxi (殷若昕) (qui una interessante intervista) e interpretato dall'astro nascente Zhang Zifeng 张子枫 racconta la storia di una sorella e del suo fratello minore costretti a cavarsela da soli dopo l'improvvisa e tragica scomparsa dei genitori. Il film riflette, oltre che sui temi già citati parlando del brano, sul sessismo genitoriale che si consuma all'interno delle famiglie cinesi tra fratelli e sorelle. Complice la politica del figlio unico (da qualche anno estesa a due e ultimamente in fase di probabile rimozione) il sistema patriarcale delle famiglie cinesi ha favorito uno sbilanciamento in fatto di considerazione tra maschi e femmine. Di questo rapporto, spesso difficile, rifletteva oltre trent'anni fa Zhang Chu. Senza sostegni o reti di salvataggio, in una Cina estremamente diversa da ora, con la spontaneità dei vent'anni aveva intuito che il disagio vissuto non poteva essere ascritto ad un problema individuale quando piuttosto ad una crisi culturale e di valori. Un'intuizione talmente essenziale e preziosa che è rimasta attuale.

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