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Playlistincinese: hip-hop cinese

Anche queste settimana la playlist è dedicata all'hip-hop. In particolare, questo post vuole approfondire quella che è la storia dell'hip-hop in Cina.





Il genere hip-hop è apparso per la prima volta in Cina all’inizio degli anni novanta, quando la tecnologia – prima con le audiocassette, poi i CD ed infine internet – è diventata via via più diffusa ed accessibile. Un fenomeno che ha sicuramente contribuito alla diffusione di questo genere è il fenomeno dei dakou (打口), cioè CD importati illegalmente dall'estero e introdotti in Cina tramite il mercato nero a cui veniva fatto un taglio sulla parte esterna del disco per evitarne la vendita.


L'hip-hop si è diffuso rapidamente in tutte le grandi città, nonostante sia a lungo rimasto un fenomeno underground a causa del poco interesse da parte del grande pubblico e della forte censura da parte dello Stato sulle canzoni considerate troppo volgari o incitanti alla ribellione. Un altro elemento che ha limitato - e che ancora oggi limita - la diffusione dell’hip-hop cinese è il suo forte legame con la lingua e con la società.


Nel tentativo di diffondersi verso l’esterno, invece che all’interno del Paese, incontra subito un ostacolo linguistico: solo chi parla cinese può capire e apprezzare i testi delle canzoni. Nonostante questo problema sia risolvibile con traduzioni – che per la maggior parte dei testi dell’hip-hop cinese e della musica in cinese in generale non esistono – i costanti riferimenti alla società cinese moderna rendono difficile immedesimarsi nei testi e comprenderli appieno.


In seguito alla crescente popolarità dell’hip-hop, in particolare fra i giovani, nel corso degli anni duemila sono nate molte crew di rapper che hanno scelto di utilizzare questo nuovo genere per esprimersi, raccogliendo intorno a sé gruppi di seguaci che condividevano il loro interesse per questa cultura. Ispirato alla cultura hip-hop anni ottanta degli Stati Uniti, l’hip-hop cinese è ben lontano da esserne semplicemente una copia. I rapper cinesi creano musica inconfondibilmente locale, integrando molto spesso strumenti cinesi tradizionali e sample delle opere classiche nelle basi musicali e utilizzando diverse lingue e dialetti nei loro versi, che "li aiutano ad ottenere flow e ritmi che con una sola lingua non si raggiungono”, come racconta il rapper Al Rocco al Los Angeles Times in un'intervista del 2018.


I rapper considerano i loro testi degli strumenti per parlare agli altri, per raccontare la loro storia, la loro vita, e per affrontare alcuni problemi che riguardano non solo la loro quotidianità ma anche la società. Come racconta Young Kin, un membro della crew pechinese Yin Ts’ang, in un’intervista del 2011 per il Michigan Daily, “se si seguono le regole del Ministero della Cultura Cinese, l’hip-hop non è una vera forma di espressione personale”. Infatti, nel momento in cui un artista hip-hip acquista più visibilità e diventa più popolare la sua arte perde la sua essenza di espressione di sé, poiché incontra la forte censura del Ministero della Cultura Cinese, che limita molto la libertà di dire ciò che si vuole.


Nel 2015, infatti, il Ministero della Cultura Cinese ha vietato oltre 100 canzoni hip-hop, alcune poiché considerate volgari, altre poiché criticavano le restrizioni alla libertà di espressione o il governo autoritario. Nonostante ciò, però, l’ondata di diffusione di questo genere è ben lontana dall’arrestarsi. Questa censura non ha fatto altro che creare due diverse correnti di musica hip-hop: una underground, in cui gli artisti si esprimono più liberamente; e una più mainstream, in cui compiono un’auto-censura in cambio di una maggiore esposizione commerciale.


Nel 2017, con la trasmissione sulla piattaforma online iQiYi del talent show The Rap of China (中国新说唱, Zhōngguóxīnshuōchàng), il rap è passato dall’underground alle luci della ribalta. Con oltre 2,7 miliardi di visualizzazioni online (Los Angeles Times, 2018), il programma ha creato un business multimilionario, trasformando i concorrenti in vere e proprie superstar. Il genere ha vissuto in quell’anno una vera e propria ascesa verso la popolarità, attirando milioni di appassionati.


GAI al Gala di Capodanno di Guangzhou (2017)


Nel 2018, però, l’autorità statale che si occupa di stampa e televisione ha vietato la presenza di contenuti o artisti hip-hop nei programmi televisivi. Molti rapper hanno quindi dovuto cambiare la loro immagine – sia per quanto riguarda il loro aspetto esteriore sia i contenuti dei loro testi – per poter continuare ad apparire nei programmi più mainstream.


Ciò però non ha sorpreso né i fan, che ritengono il genere non conforme ai valori del socialismo, né gli artisti stessi, che attribuiscono la censura sempre più stretta del governo ad una difficoltà di comprensione della cultura hip-hop. Al Rocco, uno dei concorrenti di The Rap Of China, ha detto in un’intervista per BBC News di non essere preoccupato per il futuro dell’hip-hop. Nonostante ci sia meno possibilità di esprimersi a causa delle restrizioni del governo, i rapper che provengono dalla scena underground non hanno intenzione di smettere di fare musica, e quelli diventati famosi grazie a The Rap Of China hanno rimodellato la loro immagine senza perdere né i loro seguaci né la loro vera essenza.


Ecco il link per ascoltare la playlist di questa settimana!



Di Serena Campolo

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