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Yin-yue 饮-乐: addolcire la solitudine

Dallo splendore indie di Taiwan torniamo nella Cina profonda con uno degli artisti più controversi dell’ultima decade. Sghembo, stonato, umano: Pang Mailang ha aperto una fessura nelle fitte maglie della rete che separa malattia mentale e successo mediatico.


A mettere su quel brano, ormai celeberrimo in Cina, di primo acchito viene quasi da sorridere. Parliamo ovviamente di My skate shoes 我的滑板鞋子, un incubo stonato e fuori tempo che ha però reso celebre Pang Mingtao o Pang Mailang (o addirittura Josee Punmanlon) da Hanzhong, Shaanxi. E’ il 2012 quando Old Metal 旧金属, uno degli album più strampalati mai ascoltati, vede la luce raccontando la storia di un ragazzo di provincia e delle sue paranoie.



Un coraggioso testimone dell’incolmabile gap generazionale esistente in Cina tra figli nati nell’era di Deng e genitori nati negli anni 60. Lui ci mette la faccia, prima di tutto in copertina e scrive un libro di confessioni in midi a metà tra il viaggio onirico e la lucida constatazione della solitudine contemporanea. Un calderone che zigzaga tra disco, hip-hop, ballad, karaoke talmente sui generis da risultare un prezioso pezzo unico.

In Old Metal, Pang parla di infelicità, solitudine, delusione, gap sociali e culturali con una prosa senza fronzoli, schietta e dolorosa. E’ proprio questa che ai più, appare invece furba, ipocrita e vuota. Il pubblico si divide tra chi lo considera un povero 屌丝 diaosi (perdente) e chi ne esalta la precisione nel narrare la solitudine (tipo il regista Jia Zhangke). In poco tempo grazie a milioni di visualizzazioni sul web cinese Pang diventa un personaggio pubblico ma senza l’allenamento alla pressione che una tale figura, peraltro con una critica così polarizzata alle spalle, deve avere per non sopperire. Lui non ce la fa e quest’anno finisce in clinica squarciando almeno un po’, suo malgrado, il velo di ipocrisia intorno allo stretto filo che lega malattia mentale e pressione mediatica. Niente paura, da qualche settimana è tornato in salute e ancora una volta sulle scene.

Mentre scivoliamo dolcemente sulle nostre nuove scarpe da skate, vi proponiamo di sorseggiare una Hefe-Weissbier Naturtrüb del birrificio Paulaner. Usciamo dal mondo artigianale per andare a Monaco, nel cuore della Baviera, dove i frati del convento di San Francesco da Paola (da cui Paulaner) producono birra sin dal 1634, inizialmente per uso personale. La prima a essere venduta fu la Bock – oggi la celebre Paulaner Salvator – poi arrivò anche la Weizen.


Ci troviamo davanti a una classica espressione delle birre di frumento bavaresi: torbida, con una schiuma abbondante e pannosa; il lavoro del lievito Weiss genera le tipiche note di banana e chiodi di garofano, con un lieve accenno di vaniglia. In bocca, una grande freschezza, una forte componente fruttata e una lieve acidità che mitiga la dolcezza tipica dello stile e incoraggia il sorso successivo. Per questo canto di solitudine del nostro Pang serviva una birra che potesse addolcire l’ascolto; una dolcezza che ritroviamo anche nel personaggio, nel suo essere un po’ un “buono” naif rinchiuso nella trappola di una società che non lo capisce. La frizzantezza di questa birra aiuterà anche a dissetarvi con leggerezza, o a rinfrescarvi la gola se vorrete cantare insieme a lui il tormentone 我的滑板鞋!


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