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Yin-yue 饮-乐: c’è un Buddha che salta!


Una prelibatezza in grado di far vacillare la rigorosa dieta vegetariana dei monaci buddhisti prendendoli per la gola: 佛跳墙 o Buddha Jump (Buddha che salta il muro) è il nome della zuppa che riuscirebbe in una così ardua impresa. Piatto tipico del Fujian composto principalmente da squalo, uova di quaglia e frutti di mare è anche il nome della band che abbiamo scelto oggi. Taiwanesi, attivi dal 2010, debuttano l’anno successivo con un album omonimo che lasciava già intravedere attitudine e qualità. La voce di Penny Tai, che passa in scioltezza da momenti RnB ad echi roccheggianti senza disdegnare mai l’allure del soul, allora come oggi nel nuovo BJ肆, costituisce l’ossatura e il calibro dell’intero album. Modulare, precisa e toccante nei momenti raccolti come nella meravigliosa 自寻烦恼 (che tradotto suona un po’ come crearsi dei problemi, autosabotarsi) in cui la band si limita ad accompagnare, salvo sciogliersi in quei riff finali dal sapore 80s. Graffiante e in upbeat quando il ritmo si alza, come accade in 关你屁事 o in 意识到. Che Hebe Tian non abbia pescato a piene mani? Buddha Jump è una band che ha fatto dell’essere indipendente un marchio di fabbrica: fuori da ogni talent, poco allineata al gusto comune (si, anche a Taiwan si fa un po’ di ideologia) e prodotta da un’etichetta ancora non “fagocitata” (earth group). Ecco un bel mix di elementi, proprio come la zuppa omonima che rende il prodotto finale una portata da non perdere.

P.S. l’artwork e il packaging sembrano spaziali. Potrei continuare ancora un po’ ma forse è meglio che ci date un play, magari bevendo qualcosa nel frattempo.

Si ma che ci beviamo con questo disco? Si pensava a un abbinamento con il piatto che dà il nome al gruppo, la 佛跳墙, questa delicacy della tradizione 闽菜mincai apprezzata anche nei banchetti di stato. Invece per questa volta i poveri squali possono dormire sonni tranquilli e non temere per le proprie ambite pinne, perché alla fine abbiamo scelto un’altra via. Con questa musica bella rock e ritmata ma addolcita dalla suadente voce di Penny Tai, versiamo nei vostri calici una birra scura da meditazione. E che birra!

Una birra che ha suscitato un grandissimo hype nel mondo degli appassionati negli ultimi due anni, oltre che aver vinto premi lei (Birra dell’Anno 2020) e il suo papà (Giovanni Faenza – Birraio dell’anno 2020). Si tratta della Papanero, del birrificio laziale Ritual Lab in collaborazione con gli americani di Voodoo Brewing, che si presenta molto minacciosa con questa stupenda etichetta e questa ceralacca che ricorda quasi la scena di un delitto. È minacciosa anche nella gradazione alcolica di 13,5°: appartiene infatti allo stile delle Imperial Stout, stile prodotto nel XVIII secolo per essere venduta dagli inglesi alla corte della Zar Caterina II di Russia. La gradazione alcolica maggiore era, secondo la leggenda, uno stratagemma per impedire che la stout si congelasse durante la traversata del Baltico; senonché, i russi apprezzarono particolarmente questo stile modificato, che si fossilizzò come (Russian) Imperial Stout.

Ma torniamo dalla Russia alla Papanero. L’alcool elevato, benché quasi impercettibile, vi permetterà di meditare con calma e apprezzare le repentine acrobazie dell’album BJ肆. Una volta liberativi della cera, l’apertura della birra esalerà profumi di fondi di caffè, caramello, liquirizia. Nera come la pece, in bocca conferma gli aromi del naso rilanciando con melassa, frutta sotto spirito e cioccolato fondente. Un corpo pieno e avvolgente, con un mouthfeel morbido e “masticabile”. Da quando Faenza faceva birra in casa con suo padre, ne è passata di birra sotto ai ponti.



di Stefano Capolongo e Livio di Salvatore


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Link birrificio:


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