Stavolta vi portiamo indietro nel tempo, a caccia di un sentimento tanto vivido quanto inafferrabile. È quello raccontato da Zhang Chu prima del suo addio alle scene e prima del nuovo millennio. L'album perfetto da ascoltare sorseggiando una birra italiana storica
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E' il 1997. Il dissidente pro-democrazia Wei Jingsheng viene arrestato e condannato. L'influenza aviaria dilaga nel sud della Cina. Pechino, dopo 156 anni di dominio coloniale britannico riprende possesso di Hong Kong che diventa, formalmente, una regione amministrativa speciale sotto il governo cinese. Il dopo Tian an men è ancora vivo e presente nell'aria e in musica da quell'evento ad oggi si è prodotto tantissimo: il rock 'undergorund', complice l'inasprimento della censura e il fiorire delle etichette indipendenti, ha sfornato perle ispiratissime come 唐朝 Tang Dinasty (1992) della band omonima, 黑梦 (Black dream) di Dou Wei (1994) o 垃圾场 (Garbage dump) (1994) di He Yong. La sferzata del post punk doveva ancora arrivare. Il nuovo millennio era dietro l'angolo. Zhang Chu, dopo 孤獨的人是可恥的 Shameful Being Left Alone decide di raccontare quello che i suoi occhi vedono ogni giorno in quella fine millennio così caotica. 造飞机的工厂 ovvero La fabbrica di aeroplani è un raffinato zibaldone di confessioni sussurrate e affilate che funzionano però anche corpus unico in una sorta di testamento artistico: è questo infatti il suo terzo ma anche ultimo disco in studio prima di un lungo e volontario stop.
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E' quest'ultimo a dirci molto sulla natura de La fabbrica di aeroplani, disco che segna il passaggio di Zhang Chu dalle soluzioni folk più giovanili e, per certi versi, già battute a sentieri diversificati e arzigogolati. Basti pensare alla title track e al suo ritmo incalzante, cinematico e proiettato nel 21simo secolo forse più di qualsiasi produzione coeva. Un crescendo inquieto dallo spettro sonoro complesso in cui la voce di Zhang Chu si fa progressivamente più disperata e in cui le invettive, sebbene mai esplicite, contro l'ipocrisia, l'avidità e le sordide abitudini degli uomini si fanno concrete. Un disco dal mood disperato e dal respiro tanto etnico quanto internazionale. Stop. Come al solito il terreno è pronto, non diciamo altro per non sovraccaricare il vostro ascolto. Godetevelo.
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Con questo disco vi consigliamo di sorseggiare una Gaina di Lambrate. Con un classico rock della musica cinese ci sta bene un classico rock della birra artigianale italiana.
Infatti, il birrificio Lambrate di Milano nasceva nell’omonimo quartiere milanese nel 1996 (la preistoria della birra artigianale italiana!), giusto un anno prima di quando il vecchio Zhang pubblicava 造飞机的工厂, e nello stesso periodo nasceva anche Gaina, una delle prime birre di questo storico birrificio pluripremiato. Il nome deriva da un appellativo con cui i milanesi sfottono gli ubriachi, che camminano con un’andatura barcollante da “gallina”. Non si fa fatica a immaginare quei giovani milanesi della fine degli anni ’90 uscire con un passo da “Gaina” dallo storico pub di Via Adelchi, salutati dal Monarca di Lambrate – all’anagrafe Giampaolo Sangiorgi – con il suo chiodo di pelle.
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Gaina è una IPA (India Pale Ale) piuttosto classica, 6°, una generosa dose di luppoli americani in cottura e a secco. Freschissima, incazzatissima, decisa nei toni amari agrumati e resinosi. Perfetta per i vostri concerti rock di fiducia.
Un classico assoluto che dovete recuperare. Intendiamo il disco, la birra, o entrambi?
Birrificio: http://birrificiolambrate.com/
di Stefano Capolongo e Livio di Salvatore
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